Il Santo Betile e le grandi Dee preislamiche

La città santa dell’Islam, ovvero La Mecca (in arabo ﻣكة المكرّمة‎, Makka al-mukarrama, "Makka l'onorata"), e precisamente la Ka'aba (in arabo كَعْبَة‎, kaʿba, derivante dal sostantivo kaʿb, 'dado' o 'cubo'), l’edificio cubico che si erge al centro del cortile della “Grande Moschea”, è una delle mete di pellegrinaggio religioso più visitate al mondo. Ma, come spesso accade ai luoghi di una certa rilevanza, essa nasconde, all'occhio inesperto, molto più diquanto si pensi. In quanto punto geofrafico importante per le popolazioni preislamiche, la città rappresentava, gia molto prima della nascita dell'Islam, il santuario principale della religione delle popolazioni arabe della zona prima dell’avvento di Maometto.

La santa meta fu originariamente fondata attorno a tre pietre sacre: la “Pietra Nera”, la pietra verticale ora incastrata nell’angolo yemenita (quello di sud-ovest) e la pietra che poi fu trasportata nel cosiddetto “Oratorio di Abramo” (“Maqàm Ibrahim”). Usanza assolutamente usuale ai tempi, in quanto la spiritualità degli Arabi preislamici, come in genere di tutti i Semiti occidentali e meridionali  (quali Cananei, Fenici, Aramei, Nabatei, Iturei, ecc.), riservava una speciale venerazione per i “betili”, le pietre sacre considerate, come dice il nome stesso, “Casa del Dio” e segno tangibile della Sua presenza nel mondo terreno.
Non è difficile pensare quanto runirsi intorno alle pierte sacre cementasse l’unità delle tribù, molte delle quali nomadi, che si incontravano principalmente  per scambi culturali ed economici. Non a caso,
età anteriori a quella in cui visse Maometto, nella Ka’aba della Mecca si veneravano 360 divinità, una per ciascun giorno dell’anno, tra le quali le più importanti erano Al-Lat, la dea principale del pantheon arabo, Al-Uzza, “la potentissima”, al-Manat, la dea che recide il destino degli uomini, e soprattutto Hubal, che sembra fosse il dio al quale il santuario era principalmente consacrato il cui simbolo era una falce di luna.


Lo storico arabo Hisham Ibn Al-Kalbi afferma, nella sua opera “Al-kitab al-aznam” (“Il Libro degli Idoli), che il simulacro di Hubal conservato alla Mecca fosse di corniola o di agata rossa e avesse l’aspetto di un uomo attempato con arco e faretra. Nella faretra erano contenute sette frecce, senza punta né cocca, che venivano impiegate a scopo divinatorio: il “sadin”, -custode del santuario- ne estraeva a richiesta una e dopo averla esaminata emetteva il suo vaticinio.  Secondo Al- Azraqi, -un altro esegeta islamico di poco posteriore a Maometto- l’immagine sarebbe stata portata dalla terra di Hit in Mesopotamia; per altri invece proverrebbe dalla terra dei Nabatei, ipotesi avvalorata dal fatto che in essa sono state trovate iscrizioni nelle quali il nome di Hubal compare insieme a quello di Dushara (la principale divinità del pantheon nabateo) e di Manawatu, che corrisponde alla Manat, Dea del destino degli Arabi.

 

Il nome Hubal per alcuni sarebbe connesso con l’aggettivo “hibil” =anziano, il che farebbe supporre che potrebbe essere stato un’ipostasi antropomorfica di Allah. Di questa identificazione tra Hubal e Allah sarebbe testimonianza un passo coranico (Cor, sura CVI) dove Maometto esorta i Quraysh  a servire il Signore di questa Casa che li aveva nutriti preservandoli dalla fame. Secondo altri, -come Philip K. Hitti-,sarebbe una combinazione dell’aramaico “Hu” =spirito e Baal =Signore, nome del principale dio dei Semiti nord-occidentali, che assumeva però caratteristiche e attributi diversi secondo i luoghi ove era venerato. Per altri ancora sarebbe una variante araba di “ha-Baal”=il Dio, ed in effetti l’espressione usata in età islamica per riferirsi ad Allah era la stessa già impiegata in precedenza per Hubal, ovvero “Rabb al-Bayt” = ”il Signore del Santuario”.

 

 


Le Dee Madri Preislamiche

Per quanto riguarda, invece, e tre Dee citate in precedenza, le più importanti e venerate del pantheon arabo preislamico, iniziamo col dire che esse costituivano una sorta di triade che godeva  di particolare culto e devozione proprio nella regione dell’Hegiàz, ove si trova oggi la Mecca.

 

Di esse la primogenita era Manat, che era adorata anche dai Nabatei con il nome di Manawat o Manawatu. Presso questo popolo era ritenuta la madre di Hubal ed identificata con la greca Nemesi, e si suppone presiedesse al destino al quale tutto soggiace. Il principale luogo di culto di questa Dea, rappresentata da un masso di pietra bianca, era nella località di Qudayd, presso Mushallal, nella fascia costiera dell’Hegiàz che si esende lungo il Mar Rosso. Il santuario fu fatto demolire da Maometto dopo la conquista della Mecca (gennaio 630), e l’estromissione dalla Ka’aba di tutti i simulacri che vi erano ospitati, ad eccezione della Pietra Nera.
Si narra che Maometto avesse mandato il suo cugino e genero Alì a distrugere il tempio di Manat; questi razziò il ricco tesoro ivi conservato e lo portò al profeta dell’Islam.
 
La seconda, Allat (o AL-LAT) “la dea” o “la Signora”, corrispondeva alla dea degli Inferi Allatu (meglio nota con il nome di Erashkigal) presso i Babilonesi, Allatum presso gli Accadi ed Elat presso i Fenici. Alcuni hanno ipotizzato che questa dea con caratteristiche di Luna infera abbia ricevuto un culto anche presso i Greci col nome di Eliotis (le feste a lei dedicate erano le “Eliotie”), che sarebbe a sua volta assimilabile ad Ecate, la dea dei trivi, la quale inoltre essendo “triforme” richiama la triade divina della quale Allat faceva parte; ma Erodoto (Storie, III, 8) considera Allat, che lui chiama “Alilat”, equivalente ad Afrodite Urania. Osserviamo peraltro che Eliotis è anche un nome con il quale venne designata la principessa fenicia rapita da Zeus in sembianze di bianco toro che fu madre di Minosse, meglio conosciuta come Europa.
Nel periodo ellenistico e romano appare come la divinità femminile più venerata dagli Arabi e il suo nome veniva impiegato con frequenza nell’onomastica preislamica poiché sono attestati molti nomi teofori composti, quali Zayd Allat e Taym Allat. Spesso viene assimilata anche ad Atena, Atargatis (o “Atarath”) la principale dea degli Aramei, con spiccate caratteristiche di “Grande Dea Madre”. A Palmyra in Siria,era assimilata sia a Venere Urania sia ad Artemide, suo animale sacro è il leone, raffigurato nel tempio di Palmyra in un notevole rilievo dove tiene e protegge tra le zampe un’antilope (o gazzella): questa immagine è stata interpretata come l’espressione del rifiuto dei sacrifici cruenti, ed in effetti sotto il rilievo è stata rinvenuta la seguente iscrizione: “Allat benedice chi non versa sangue nel tempio”. Nella penisola arabica il principale luogo di culto di Allat era la città di Ta’if, situata a sud della Mecca. Qui era grandemente onorata dalla tribù dei Banu Thaqif, sotto forma di una candida pietra squadrata di notevoli dimensioni custodita nel santuario di Attab Ibn al-Malik. Dopo la vittoria dell’Islam il betilo della dea divenne un gradino della moschea fatta erigere da Maometto.
 
Infine Al-'Uzza,“la Potentissima” o “la Veneratissima” (Afrodite per i Greci, Ishtar per i mesopotamici) era una delle dee protettrici della Mecca; sebbene fosse considerata la più giovane delle tre non era certo ultima per importanza. Nella battaglia di Uhud, avvenuta nel 624, i Quraishiti chiamavano a gran voce a combattere gli abitanti della Mecca al grido di “O gente di Uzza, o popolo di Hubal!”. Di solito Ella appare come una Vergine Guerriera dotata di eccezionale forza e bellezza. Il suo nome era sinonimo di sfolgorante avvenenza quando veniva citata nella poesia araba preislamica.
Queste tre importantissime Dee erano chiamate anche “al Gharaniq” (le gru o le cicogne), nome presente per altro anche all'interno del Corano stesso, per esaltarne la grazia e, nei tempi più remoti, le genti che le veneravano, si rivolgeva a loro direttamente in natura, ad esempio nell’aspetto di una sorgente o in un gruppo di tre alberi appartenenti al genere delle acacie (“samurat”), come per altro accadde nell’oasi di Nakhla al-Shamiyya, entro la valle di Hurad, e dove più tardi fu loro costruito un santuario nel quale era compreso un betilo e una grotta sacra chiamata “Ghabghab”, dove erano celebrati i sacrifici).

 

 

Ulteriori Curiosità:
La natura della Pietra Nera e la sua classificazione mineralogica sono state oggetto di approfonditi dibattiti. Paul Partsh, curatore della collezione mineralogica dell’imperatore austro-ungarico, e autore della prima storia completa della reliquia, sostiene l’origine meteorica della Pietra Nera.
Nel 1980 Elisabeth Thomsen dell’Università di Copenaghen ha avanzato l’ipotesi che la pietra possa essere un frammento del vetro generato dalla fusione di pietre causata dall’impatto di un meteorite caduto sulla terra circa 6000 anni fa nella località di Wabar, a 1100 km ad est della Mecca. Nel cratere provocato dalla caduta si trovano tuttora molti blocchi di silice fusa dall’impatto con il meteorite rovente; alcuni di questi blocchi sono di vetro nero e lucido, con porosità interne ripiene di gas, che consentono loro di galleggiare nell’acqua. Sebbene questo cratere di origine meteoritica non fosse noto agli scienziati prima del 1932, si suppone che i beduini del deserto ne fossero a conoscenza fin dall’antichità.  



Fonti:
Il libro degli idoli: traduzione dall'arabo di Kitab Al-asnam
loasiditammuz.altervista.org
Wikipedia.org












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