La Nascita di Afrodite e la Dea ''doppia''


Chi non ha mai sentito parlare della meravigliosa Afrodite (in greco antico: Ἀφροδίτη), Dea dell'Amore, della fertilità e rigogliosità della Terra e una delle divinità più venerate nel mondo classico. 




 Non vi sono certezze sul significato originario del nome di Afrodite ne sull'origine della sua figura divina stessa che appare piuttosto controversa, ma oggi proveremo a ripercorrere le sue origini attraverso varie ipotesi.


La tradizione greca la vuole di derivazione orientale: Erodoto sostiene che il suo santuario di provenienza è quello di Afrodite Urania ad Ascalona (Israele), da dove si pensa che i Ciprioti ne importarono il culto, mentre per Pausania, i Fenici trasferirono direttamente il culto a Citera. 


Comunque sia la sua figura venne ellenizzata già al tempo di Omero: nell'Odissea la si fa originare dal santuario di Pafo nell'isola di Cipro. 


Tra le diverse teorie sull’origine di una divinità preistorica femminile che rappresentava non tanto la procreazione, quanto la bellezza intesa come attrazione sessuale, sembra che la cosiddetta “teoria Orientale” sia la più accettabile. 


Secondo questa teoria avanzata già alla fine dell’800, Afrodite trae origine dalla regale figura Sumerica di Inanna (più tardi identificata in Ishtar) che domina incontrastata la scena mediorientale già nel III millennio a.C. La sua città sacra fu probabilmente Uruk, ma i centri del suo culto erano sparsi per tutto il territorio controllato dalla civiltà Sumerica e, più tardi da quella Accadica.

 Era la dea che simboleggiava la femminilità intesa come il concetto stesso di bellezza e di sensualità femminile. Una feroce dea guerriera, indipendente, a volte assetata di sangue e con una vita sessuale molto libera e disinibita. 
Era identificata con il pianeta “Venere” e denominata la Signora del cielo, la “stella della sera” che risplendeva per la bellezza dei suoi vestiti e l’oro dei suoi gioielli. Una donna affascinante che, anche se madre di più figli era sempre eternamente giovane e interessata a nuove avventure amorose che la facevano diventare in alcuni miti aggressiva, gelosa e vendicativa. 
 A Inanna fu dedicato il primo poema in versi della storia, scritto e firmato in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla, da Enheduanna, la figlia di Sargon I, re dei Sumeri, che nel 2300 a.C. le rivolse enigmatici versi, ancora oggi argomento di vivaci discussioni per l’interpretazione delle metafore che contengono, ma che ci hanno tramandato un ritratto della personalità di Inanna straordinariamente simile a quello di Afrodite.

Come Inanna/Ishtar nella sua versione semitica la Dea assume più tardi un’altra caratteristica che la fa assomigliare ancora di più alla personalità di Afrodite, quella di avere delle sacerdotesse prostitute sacre (dal semitico ''qedesha'' ) che erano parte integrante del rito e dei luoghi di culto a lei consacrati essendo prerogativa principale della Dea la pratica della ''Ierogamia'' (Unione Sacra). Amplesso che diviene sacro in quanto in esso si manifesta "la forza" che congiunge l'elemento maschile con l'elemento femminile, impersonata appunto dalla Dea.



 

Ma nel Mediterraneo Orientale con il progredire della civiltà greco-micenea, per ragioni complesse e sconosciute i nomi di Inanna e di Ishtar scomparvero gradualmente dalla scena, lasciando il posto appunto ad Afrodite, la Dea sovrana dell’isola di Cipro che ancora oggi simboleggia l’ideale della bellezza perfetta che non conosce limiti per affermarsi.  



A torto o a ragione Cipro e non Citera vinse la battaglia nel rivendicare la natività della dea e il tempio di Paphos sulla costa Sud Orientale dell’isola, divenne il suo santuario più famoso, descritto innumerevoli volte dagli autori greci e latini, meta di pellegrinaggi fino alla tarda età romana.

Non si sa molto delle feste in onore di Afrodite, la Dea era sovente onorata al termine di imprese importanti (Plutarco ricorda che in suo onore si chiudevano le celebrazioni a Posidone a Egina) e durante le "Afrodisie", festività tipiche svolte principalmente in luoghi di mare dove i marinai, che la veneravano come Dea sorta dal mare, la festeggiavano con grande partecipazione al termine dei loro lunghi viaggi


Gli animali sacri ad Afrodite erano il delfino, il passero, il cigno e soprattutto la colomba. 

E tra le piante a lei sacre ci sono la rosa, il mirto, la palma e il melocotogno e l'albero della Mirra (dalla quale si estrae la famosa resina usata da sempre nelle sue cerimonie).



  


Ma non sempre la nostra bella Afrodite è sinonimo solo di Amore e bellezza, essa infatti, proprio come la sua ''antenata'' Ishtar, in alcune zone ha indossato l'armatura della Grande Guerriera. Ne abbiamo testimonianza proprio a casa nostra, a Taranto, in Puglia.


Per capire da dove deriva l’introduzione a Taranto del culto di una Afrodite Guerriera, dobbiamo risalire a un fatto storico legato strettamente alla fondazione della città.

Gli Spartani posero sotto assedio Messene e giurarono solennemente di non far ritorno in patria prima di aver conquistato la città.
Quando la guerra terminò, 19 anni dopo, gli Spartani trovarono una novità: una banda di ragazzi, i cosiddetti “parteni”, nati dall’unione delle vergini con uomini che non avevano prestato giuramento, e che erano stati rispediti a casa dal fronte con il preciso compito di procreare durante la loro assenza.
Questi parteni (cioè “partoriti dalle vergini”), saranno gli stessi che, sotto la guida di Falanto, fonderanno a Taranto una nuova colonia.

Tutto ciò avrebbe origine, narra Lattanzio, durante una battagliai in cui i Messeni uscirono di nascosto dalla città assediata con l’intenzione di saccheggiare Sparta, approfittando dell’assenza degli uomini, tutti impegnati al fronte.

Ma non avevano fatto i conti con le intraprendenti donne spartane che, armate di tutto punto, li respinsero con coraggio e uscirono dalla città per inseguirli.
I soldati Spartani, nel frattempo, si accorsero dell’inganno e si affrettarono in soccorso delle fanciulle. Tuttavia, quando videro le donne armate, le scambiarono per nemici.
Le donne, impaurite, si denudarono per farsi riconoscere, suscitando l’eccitazione dei soldati che, con tutte le armi indosso, così come si trovavano, si unirono promiscuamente a loro, “senza preoccuparsi di distinguerle” (sì, il virgolettato è l’espressione letterale usata da Lattanzio).
In memoria di questo singolare e memorabile episodio, gli Spartani innalzarono un tempio ed una statua ad Afrodite armata.

È verosimile credere che i giovani partiti da Sparta abbiano poi portato nella nuova colonia a Taranto il culto di questa divinità, considerandola loro protettrice.
  Da un passo di Quintiliano (Inst:Or.II,4,26) sappiamo che Afrodite era venerata in tutta la Laconia, ma solo a Taranto assunse il duplice carattere di divinità fecondatrice e guerriera.

Notizie di questa “doppia natura” della dea si rintracciano anche in un epigramma di Leonida (Ant. Plan. 171), 



Queste sono armi di Marte, perché le indossi tu Citerea*? Inutilmente ti sei caricata di questo peso;  nuda Marte stesso hai disarmato! Se così hai vinto un dio, perché ti armi inutilmente contro dei mortali?
(Leon. Ant.Planudea, 171)

*Citerea è un appellativo di Afrodite.



Nel 1760 circa, nei pressi della chiesa di Sant’Agostino nella vecchia Taranto, furono rinvenuti i resti di un tempio dedicato ad Afrodite.

Data la profondità del ritrovamento, si riuscì a recuperare solo un’ara in marmo con un bassorilievo di Afrodite, raffigurata mentre regge con la destra una lancia, e con la sinistra un pomo.
Di questa ara, ora custodita al Museo di Copenaghen, abbiamo l’accurata descrizione del Carducci nel commento al libro primo delle Delizie Tarantine di Tommaso D’Aquino:

L’ara ha l’altezza di palmi tre e un quarto, e larghezza di due, con un festone di mirto che la cinge intorno nel lembo superiore, che nei quattro angoli termina in una testa di ariete. Alle quattro facce ci sono quattro bassi rilievi. Uno rappresenta appunto la dea armata d’asta, e con la palma sinistra stretta al seno sostiene il pomo, ed ha un amorino alato sull’omero sinistro in atto di porle sul capo un serto di mirto.




Fonti:

Lattanzio Inst. I 20,32


Leon. Ant.Planudea, 171


''Origine del mito di Afrodite, un’ipotesi'' di Belgiorno M.R.


 www.tarantomagna.it 

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